Eggers
accolse tutti questi cambiamenti con silenzioso stupore”: questo è, in poche
essenziali lo stato d’animo con cui Andreas Egger sta nel mondo. Ed è anche
quello che il lettore si trova a dover egli stesso adottare, non so se più
costretto o sedotto dallo stile dell’autore. E con altrettante poche essenziali
parole, si esaurisce la trama: “Una vita intera” è la storia della vita intera
di Andreas Egger, che nasce nelle montagne austriache forse il 15 agosto del 1898 (il borgomastro
scrisse a memoria a posteriori), in ogni caso nei primi anni del Novecento;
Andreas è più o meno un orfano, tirato
su da un uomo piuttosto violento e despota che gioca ad essere Dio tra le sue
mucche e i quattro ortaggi, poi cresce,
va un po’ a scuola, lavora come un dannato
perché la fatica di nuovo non era una novità, incontra anche una donna che
sposa, Marie, quindi tenta di metter su la sua famiglia come tutti e come a
tutti molte cose non vanno come aveva pensato, finisce in guerra, poi nei campi
di lavoro in Russia e quindi ritorna e si costruisce un’esistenza come può, in
un mondo molto diverso da quello che aveva lasciato, con la tv e i turisti e il
rumore, fa la guida alpina, nel frattempo invecchia e muore. Una vita come
tante; anzi, in realtà, come tutte. Però attenzione, ché se Seethaler mette un
aggettivo, allora non dobbiamo tralasciarlo: non è “Tutta una vita”, il titolo
del romanzo, o “La vita di Egger” e nemmeno “Egger”; bensì “Una vita INTERA”: e
intero è ciò che è compiuto, che non ha pezzi mancanti, che non è rotto, al
contrario è INTEGRO. Non è un dettaglio, questo, : è la risposta
all’atteggia-mento di Egger, alla sua capacità di accogliere la vita con quello
che porta, perché di vita, Egger come anche noi, solo questa ha, che sta
vivendo ora; e il mite Andreas come anche noi si becca le sue sfortune e le sue
tragedie, le sofferenze e i suoi dolori, che direi matematicamente sono sempre
più delle gioie e delle felicità e delle fortune , e nonostante tutto va
avanti, cerca di farsi andare bene quello che succede. Ogni segno di perdita,
di morte, di privazione, è inserita in un contesto di vita: al funerale si
sente il pianto di un bambino, sopra la valanga che travolge mortalmente c’è un
cielo stellato e una luna luminosa… Seethaler parla del piccolo eroe che ognuno
di noi è, a combattere contro un destino che tanto l’ha vinta comunque. Il
punto, però, è che non è la vittoria in sé quello che decreta la riuscita
dell’impresa: la vita ha un movimento ondulatorio, racconta l’autore, con dei
punti alti, raggiunti spesso con fatica,
ma da cui si precipita in un secondo, eppure l’assenza di sfortune non basta a
renderci felici, anzi è la stessa infelicità che si rivela necessaria per riconoscere la
felicità. Capita spesso di trovare, in questo romanzo narrato da una voce
esterna (ma che viene da dentro il cuore montanaro di Andreas) espressioni come
“più avanti Egger non si sarebbe ricordato di….”, perché “Una vita intera” è un
romanzo sulla vita che abbiamo già dietro di noi: lo sguardo è quello di un
anziano, rivolto alle sue spalle, perché già sa cosa c’è davanti senza però
poterlo comprendere mai. Cosa rimane di una vita? Cosa vediamo quando ci
giriamo su noi stessi di 180 gradi? Pare che sia questa la domanda a cui
Seethaler voglia dare risposta con questo romanzo… Solo che la riposta non c’è,
come nelle migliori tradizioni: la domanda si ripete all’infinito e rimane
all’infinito aperta, perché della vita rimane quello che ricordiamo, che è ogni
volta diverso e quasi mai corrisponde a verità. E soprattutto, della vita
rimane la vita “Una vita intera” è un po’ come una poesia: raccontarlo più di
quanto abbia provato a fare sarebbe come farne la parafrasi, quindi ucciderlo e
snaturarlo. No, va proprio letto, con lentezza; e anche riletto, perché tante
volte ci si ferma – immersi in una scrittura che esige ma allo stesso tempo
crea silenzio e spazio, cresce intorno a noi e ci isola da tutto il resto –, ci
si deve fermare per chiudere le pagine, abbassare il capo, respirare piano e
piangere. Ma non perché è triste, no; piuttosto, perché ci si stupisce che uno
che non ci conosce abbia trovato la parola giusta, l’espressione unica e
perfetta per esprimere quella sensazione che noi, solo noi, conosciamo così
bene .
Robert Seethaler: Una vita intera ed. Neri Pozza € 14.00
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